Si fa un gran parlare del potere dei dati e di come questi possano aiutare incredibilmente i business a crescere e a rafforzarsi.

Ma la verità è che lo scenario roseo che viene disegnato dai “commentatori” del tema è ancora ben lontano dall’essere calato nella vita quotidiana delle imprese.

È vero che oggi le aziende dispongono di una mole di dati che avrebbero solo potuto sognare in passato, ma possedere una grande quantità di dati è molto diverso dall’avere una grande quantità di informazioni.

Anzi, cioè che è davvero sotto gli occhi di tutti quelli che guardano con occhio critico alla situazione è proprio che le informazioni che le aziende riescono a tirare fuori da questi dati sono ancora molto scarse, anche se i leader hanno implementato una vasta gamma di programmi volti a sfruttare i dati o hanno aumentato gli sforzi dell’azienda assumendo uno o più esperti di analisi degli stessi.

Certo, intervengono fattori molto diversi, compresi la scarsità di capacità del management e le aspettative irragionevoli, ma la risoluzione di questi problemi è essenziale per coloro che desiderano liberare il potere dei dati nelle loro organizzazioni.

Se vogliamo guardare alla realtà con onestà intellettuale, dobbiamo dirci che non è particolarmente sorprendente che i dati non sono ancora strategici per molte organizzazioni.

Fare business è già abbastanza complesso: bisogna impostare una strategia, ci sono clienti da soddisfare, concorrenti da battere, normative da soddisfare e spesso lacune nelle competenze vanno colmate.

Sono tanti i trend di innovazione, oltre ai dati, che si contendono le risorse disponibili: dalla sostenibilità ambientale all’intelligenza artificiale. 

E quindi è del tutto naturale che spesso l’attenzione delle organizzazioni migri altrove.

Anche perché come dicevo sopra, è vero che i dati possono aggiungere un valore enorme, ma spesso è difficile sapere dove vanno inseriti perché possano farlo.

Eppure i manager li usano ogni giorno. Anche se non si fidano completamente di essi. 

Molti trovano confuse le statistiche di base o sono troppo orgogliosi delle proprie capacità decisionali per accettare di aver bisogno di una migliore analisi o di un quadro più approfondito. 

Da un lato vivono come una fastidiosa supervisione al loro pensiero l’elaborazione e l’analisi dei dati, ma al contempo poi rimangono sbalorditi quando un problema di dati crea un rischio imprevisto per le loro imprese.

Mentre privacy e sicurezza sono fattori valutati come importanti nelle analisi di rischio delle imprese, l’impatto dei dati viene ancora sottovalutato

E poiché diventare un’organizzazione data-driven comporta l’adattamento della loro cultura, cosa che richiede tempo e fatica, i dati restano ancora lontani dal mainstream della strategia aziendale.

Guardare ai dati dal punto di vista dell’azienda invece che del management però non è meno complicato.

Non mancano grandi opportunità e richieste, dall’analisi alla qualità dei dati, alla monetizzazione, alla privacy, agli small data e alla sicurezza. 

Tuttavia, la maggior parte del lavoro sui dati è estremamente superficiale, si limita all’aggiunta di nuovi campi ai database, all’allineamento di sistemi che non parlano, alla definizione di metadati, quando va bene all’attuazione di governance a basso livello. 

E per di più coinvolgere l’azienda nelle fasi che richiedono maggiore collaborazione è spesso un compito davvero arduo per chi, in azienda, lavora a quei dati. 

Fermo restando che capita spesso che quando l’azienda richiede un miglior controllo dei dati, il personale dedicato non dispone delle competenze o delle connessioni aziendali necessarie per far avere un impatto significativo sul lavoro.

Il risultato è che le attività sui dati finiscono ad essere di livello troppo basso, a breve termine e scarsamente connesse alla strategia aziendale globale.

Ed è un peccato perché se integrati correttamente, i dati possono accelerare la maggior parte delle strategie aziendali, migliorando i processi e responsabilizzando le persone necessarie per eseguirli. 

La verità è che le aziende dovrebbero fermarsi un attimo ad analizzare i livelli di complessità dei propri business e capire che a ciascun livello dei propri processi esistono per loro modi di ricavare valore dai dati.

Ma per farlo è necessario lavorare sui dati per “modelli di valore” ovvero per segmentazioni diverse a seconda di cosa vogliamo migliorare:

  • Processi migliorati
  • Migliore posizione competitiva
  • Prodotti nuovi e migliorati, derivanti da migliori dati sui clienti e sul mercato
  • Creazione di dati in prodotti e servizi
  • Capacità umane migliorate
  • Migliore gestione del rischio

La domanda più importante è: in che modo i dati possono aiutarmi? 

Fare i necessari cambiamenti per entrare in un’ottica veramente data-driven richiede il coordinamento tra i dipartimenti e le figure che hanno realizzato i programmi di qualità e di governance aziendali. 

Il primo passo è concentrarsi sui dati di contatto del cliente,

il secondo sui dati commerciali

e il terzo sui dati forniti da fonti terze.

Lavorare segmentando i dati dentro la prospettiva dei modelli di valore ricordati sopra aiuta a facilitare la comunicazione tra leader aziendali ed esperti di dati.

Aiuta gli esperti di dati a chiarire il potenziale e i limiti dell’intera gamma di opzioni e gli imprenditori a vedere come ciascuna opzione aggiunge valore a uno specifico segmento del proprio business. 

Ed entrambi possono collaborare per identificare le aree in cui i dati forniscono i migliori rendimenti per l’organizzazione. 

Complessità e astrazione sono i nemici di una buona strategia.

Non c’è nessuna formula magica, come al solito si tratta solo di duro lavoro. Ma il passo in avanti che si prospetta per il business in una azienda in cui organizzazione e team dei dati finalmente lavorano insieme, lo rende uno sforzo che vale davvero la pena di fare.